giovedì 14 ottobre 2010

Barilla: ombre belliche di un “made in Italy”

di Gianni Lannes
Il marchio italiano non è solo pasta e tarallucci del mulino bianco, bensì una "magica unione" di finanziatori ed alleati, soprattutto produttori di armi: ad esempio il micidiale cannone 20 millimetri (Oerlikon) adottato con furore da Hitler e in seguito dai dittatori di mezzo mondo. Anda-Bührle e Barilla: una saga di famiglie d’altri tempi. Generazioni e identità accomunate dal senso della produzione e vendita al miglior offerente, ingraziandosi il consenso popolare mediante pubblicità dilagante sui mass media. Occhio, non è tutta d’un pezzo la proprietà: la ditta parmigiana in attività dal 1877 non è quotata in borsa, ma vanta un socio storico imbarazzante. Per dirla con uno spot che addomestica le coscienze: “scopri il mondo di casa Barilla, iscriviti e diventa protagonista”. Detto e fatto: gratta… gratta vai a fondo. L’accordo della serie latina “pecunia non olet”, risale al passato remoto, appena sbianchettato. Infatti, nell’anno 1979 Hortense Bührle (maritata Anda) - figlia del famigerato Emil Georg (al soldo di Hitler) e sorella del pregiudicato Dieter (responsabile della morte in Africa di milioni di innocenti, prevalentemente donne e bambini, come accertato dall’Onu) nonché madre dell’ingegnere Gratian - investe 10 milioni di dollari per acquistare il 15 per cento della nota marca emiliana. La Barilla è a caccia di denaro fresco: ha bisogno di iniezioni in moneta sonante senza andare troppo per il sottile. Hortense (nata il 18 maggio 1926, originaria di Ilsenburg am Harz, ma naturalizzata a Zurigo nel 1937) ha sposato nel 1964 il pianista Géza Anda. Nel 1969 la gentildonna ha un figlio di nome Gratian, che in seguito diviene ingegnere elettronico, nonché consulente di direzione della McKinsey. Secondo il Dizionario Storico della Svizzera (Historisches Lexikon der Schweiz, Band, 1, 322) la signora è a tutti gli effetti:

«Coerede e grande azionista del gruppo industriale Bührle, dal 1956 ha fatto parte dei consigli di amministrazione della Oerlikon-Bührle Holding AG, della Bally International AG e della Ihag Holding AG».

Chi sono i Bührle-(Anda)? Scomodiamo a tal proposito, tra le innumerevoli fonti informative ben documentate a disposizione, proprio uno studioso elvetico (mai smentito), ovvero Jean Ziegler che nel 1997 per la casa editrice Mondadori ha pubblicato il saggio, La Svizzera, l’oro e i morti. Alle pagine 175-179 si legge:

«I fabbricanti d’armi svizzeri furono particolarmente preziosi per Hitler. La Svizzera è leader mondiale nella meccanica di precisione: i congegni di puntamento dei cannoni svizzeri, la precisione delle mitragliatrici e dei mortai, i cannoni antiaereo a tiro rapido erano (e restano) i migliori del mondo. Hitler ne ordinò decine di migliaia; l’addestramento degli artiglieri – sia dell’esercito sia delle SS – destinati a manovrarli si svolse sotto la direzione svizzera. L’industria bellica elvetica presentava un ulteriore vantaggio: poiché produceva in territorio neutrale, non veniva bombardata dagli Alleati. La fabbrica di armi di gran lunga più potente del paese, che era anche una delle maggiori del mondo, apparteneva a un figlio di emigrati del Wurtemberg: Emil Bührle. Le sue officine erano situate soprattutto a Zurigo-Oerlikon. I suoi affari con il Reich gli fruttarono guadagni considerevoli: tra il 1939 e il 1945 le sue entrate ufficiali passarono da 6,8 a 56 milioni di franchi svizzeri e il suo patrimonio personale da 8,5 a 170 milioni. Bührle era amico personale di Albert Speer, il ministro nazista degli armamenti e della produzione di guerra, nonché del barone von Bibra, un consigliere di legazione che fu forse l’intermediario più importante tra i dirigenti nazisti e gli industriali svizzeri. Bührle era un habitué delle cene offerte da Otto Carl Köcher, l’ambasciatore tedesco a Berna. A partire dall’estate del 1940 fino alla primavera del 1945, il gruppo Bührle fu quasi esclusivamente al servizio di Hitler. Nel 1941 offriva lavoro a 3761 persone, vale a dire tre volte di più che all’inizio della guerra. In origine, la Bührle-Oerlikon fabbricava macchine utensili, ma in seguito all’invasione della Polonia si riconvertì agli armamenti: nel 1940 le armi e le munizioni rappresentavano il 95 per cento di tutta la sua produzione. Il punto forte del suo catalogo era il cannone antiaereo da 20 millimetri, molto apprezzato da Hitler, in quanto abbatteva un gran numero di aerei alleati. Bührle era il caratteristico padrone da lotta di classe; aveva orrore dei sindacati, in special modo del coraggioso leader sindacale e deputato di Zurigo Hans Oprecht (…) Per la cronaca, bisogna sapere che la vittoria spiacevolmente rapida degli Alleati impedì a Bührle di smaltire tutte le sue scorte di cannoni; molte delle forniture ordinate dai nazisti restarono a Oerlikon dopo il 1945. Tuttavia, anche dopo il suicidio del suo miglior cliente, Bührle seppe trovare una soluzione: cominciò a esportare le sue armi di morte nel Terzo Mondo. La guerra del Biafra durò dal 1967 al 1970 (…) Le Nazioni Unite decretarono il blocco economico e militare nei confronti del Biafra e la Svizzera aderì alla proibizione di esportare armi. La guerra fece due milioni di vittime, principalmente donne e bambini. Il Biafra capitolò e nelle sue caserme gli ispettori dell’Onu trovarono dozzine di cannoni Bührle. Alcuni recavano ancora la croce uncinata e i numeri di serie tedeschi: si trattava delle forniture Oerlikon, già pagate dai nazisti e pronte a essere loro consegnate, che Bührle aveva rivenduto a Ojukwu. Per questo eccellente affare, Dieter Bührle – erede di suo padre Emil – fu condannato dal tribunale federale a una multa di 20.000 franchi svizzeri per non aver rispettato l’embargo (…) I fornitori svizzeri di Hitler facevano i loro affari in un ambito in cui i valori etici non avevano importanza».

Nel dopoguerra, la famiglia Bührle-Anda ha venduto armi a paesi sotto embargo e regimi notoriamente dittatoriali: Sudafrica, Nigeria, Indonesia, solo a citarne alcuni. Secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, nel 1999 anche i bombardamenti con munizioni all’uranio impoverito (DU) in Kosovo, sono stati realizzati grazie alla produzione di questa benemerità famiglia elvetica di origini tedesche. L’European Network Against Arms Trade ha documentato con prove inequivocabili vendite di fucili d’assalto, razzi e missili contraerei all'Indonesia per 1,8 milioni di franchi svizzeri tra il 1982 e il 1993 attraverso la controllata Contraves, nonostante l'embargo in corso per violazione dei diritti civili. Sempre nel ‘93 grazie alle forti pressioni che la società bellica mise in atto per convincere il Parlamento Svizzero ad autorizzarle, furono venduti illegalmente armamenti per importi pari a 10 milioni di franchi. Nel 2000 il gruppo Oerlikon-Bührle si è inventato un nuovo profilo mutando il nome in Unaxis e diversificando gli investimenti in vari modi: ad esempio grazie ad un grazioso albergo sul fronte svizzero del Lago Maggiore. I Barilla, comunque, entrano personalmente in società con questi spietati mercanti di morte. Il denaro insanguinato che ha alimentato conflitti a danno degli esseri umani più inermi (senza valutare i defunti a causa della seconda guerra mondiale, solo in Biafra 2 milioni di vittime civili) - senza alcuna ombra di dubbio - è frutto della produzione e del traffico di armamenti in paesi in cui l’unica regola è la sopraffazione. Le armi, come noto, sono strumento essenziale di tutte le forme peggiori del saccheggio globale moderno impastato di violenza. Nel 1999 il gruppo Bührle passa di fatto a Gratian Anda. Il 10 ottobre 2001 (e-mail delle ore 15:57:58, acquisita integralmente e legalmente dal giornale Italia Terra Nostra), un dirigente aziendale di rilievo, tale Armando Marchi scrive:
sono il responsabile delle Relazioni Esterne del gruppo Barilla.
Mi permetto di osservare che, se si eccettua il periodo dal 1973 al 1979 (in cui è stata di proprietà della multinazionale Grace),
la Barilla è dal 1877, anno della sua fondazione,saldamente in mano alla famiglia Barilla,
che ha sempre vissuto dei frutti del lavoro in campo alimentare.
Il signor Gratian Anda, che tra l'altro non è nel Consiglio di Amministrazione del Gruppo Barilla,
rappresentava una quota di minoranza (il 15%) detenuta da una Società finanziaria olandese:
un investitore meramente finanziario, non un'industria bellica.
Non abbiamo mai utilizzato la correttezza come strumento di marketing,
e ritengo anche che non sia immeritata la trasparenza che ci viene riconosciuta dalla "Nuova Guida al consumo critico.

Incongruenze o sgangherate menzogne dalle gambe corte? Il nipote di Emil George Bührle nel 2000 ha ricoperto la carica di vice presidente della Barilla; attualmente è consigliere di Barilla Iniziative S.r.l., anche se nel Bilancio 2009 il suo nome non si legge addirittura. Prove? A iosa. Il documento ufficiale di casa Barilla denominato “Corporate Governance” indica - nella società a responsabilità limitata Barilla Iniziative S.r.l. - tra i consiglieri, vicino ad Emanuela Barilla (sorella del presidente Guido Maria) proprio il convitato di pietra, detto altrimenti Gratian Anda (nato a Zurigo il 22 dicembre 1969), in buona compagnia degli inseparabili Nicolaus Issenmann e Robert Singer. Lo stesso Issenmann (per gli amici semplicemente Nico) siede accanto a Guido Maria Barilla nella società controllata dal Gruppo, meglio detta Lieken AG. Se Pietro Barilla pagava tangenti miliardarie sotto spinta di Silvio Berlusconi attingendo da conti segreti svizzeri, il figlio Guido Maria, attuale presidente del Gruppo forse non ha mai sfogliato un libro di storia contemporanea o una rivista di cronache. A lui il giornale Italia Terra Nostra ha chiesto chiarimenti che però latitano. Il rampollo è troppo indaffarato negli Usa? Appunto la morale di facciata, o meglio, fuori tempo limite che scomoda addirittura Kant. Meno male che il consiglio di amministrazione della Barilla - in “zona Cesarini”, si fa per dire - il 4 marzo 2005 ha recuperato terreno almeno sulla carta, approvando un Codice Etico di 24 cartelle. Nel testo, a pagina 11 è inciso:

«Barilla considera come punti irrinunciabili nella definizione dei propri valori la Dichiarazione universale dei Diritti Umani dell’Onu».

Belle parole, o forse chiacchiere al vento, anzi fumo negli occhi degli ignari consumatori. Ma la sostanza? Magari un ravvedimento all'ultimo istante dei fratelli e sorella Barilla (Guido Maria, Luca, Paolo, Emanuela)? Nulla, per ora. Il dna parmense non tradisce il lauto business. Narrano le cronache del quotidiano Il Corriere della Sera (12 luglio 2008):

"La famiglia Barilla «premia» il socio svizzero Anda-Bührle. Accelera il riassetto del gruppo: più peso agli azionisti storici. La Finba Iniziative concentrerà altre attività e sarà partecipata all' 85% da Barilla Holding e al 15% dagli elvetici. Riassetto al vertice del gruppo Barilla che dopo molti anni ridefinisce i rapporti con il socio di minoranza storico (15%), la famiglia svizzera Anda-Bührle, entrata alla fine degli anni Settanta. Le modifiche nella governance e nelle relazioni partecipative stanno entrando in questi giorni nella fase esecutiva con la fusione in Barilla G e R Fratelli, la capogruppo industriale, di quello che fino a ieri è stato il veicolo societario dell' alleanza, la Relou Italia. Se i tempi saranno rispettati, già dalla settimana prossima la partnership dovrebbe trasferirsi nella nuova holding Finba Iniziative. Tuttavia non è solo un' operazione di facciata ma vi è la sostanza di un riassetto societario che accompagna una riorganizzazione industriale al termine della quale il 15% della famiglia Anda avrà più «peso». Nella nuova configurazione, infatti, rispetto al passato saranno concentrate sotto la società comune alcune attività che in precedenza erano fuori dall' area di influenza degli svizzeri. Secondo una versione che circola in Barilla, si tratta di una specie di premio fedeltà dopo un periodo di turbolenza finanziaria dovuta alla fallimentare acquisizione della Kamps, il gruppo tedesco del pane. Nel dicembre scorso si era conclusa consensualmente la burrascosa stagione di joint venture con la Banca Popolare di Lodi, entrata in Kamps a sostegno della Barilla subito dopo l' Opa del 2002. La cessazione del contenzioso ha portato il gruppo della pasta al 100% di Kamps e Harry' s (prodotti da forno) e contestualmente è stata delineata una nuova struttura di rapporti con gli Anda-Buhrle. Il passo successivo è stato, a marzo, l' annuncio che le «bakeries» della Kamps, cioè la rete di oltre 900 negozi (quindi non il business del pane industriale), erano in vendita. Poi un mese fa la vendita di GranMilano alla Sammontana e ora sono partite le operazioni più prettamente finanziarie. La prima è, appunto, la fusione «al contrario» di Relou in Barilla Fratelli. «Al contrario» perché Relou è socia al 49% di Barilla Fratelli che, lo ricordiamo, è la capofila industriale. E in questo modo viene di fatto smantellato il vecchio schema della partnership azionaria con i soci di minoranza. Il successivo step, che in questi giorni sta per essere messo a punto, è il contestuale trasferimento dell' alleanza in una nuova finanziaria, la Finba Iniziative, che sarà dunque partecipata all' 85% dalla Barilla Holding (100% famiglia) e al 15% dagli svizzeri. E qui, come aveva scritto «Il Sole 24 Ore» anticipando le linee della riorganizzazione, i due partner dovrebbero siglare un patto parasociale la cui principale materia da regolare sarà, quasi sicuramente, il meccanismo di prelazione sulle rispettive quote. Il gruppo emiliano, 18mila dipendenti, 64 stabilimenti in 11 Paesi, leader mondiale nel mercato della pasta e primo in Italia nei prodotti da forno (Mulino Bianco), ha chiuso il 2007 con 4,2 miliardi di euro di ricavi (+4,3%»)".



Allora chi controlla realmente la Barilla? E' in mano a industriali bellici? Nell’interrogazione parlamentare del 13 giugno 1985 (numero 3-00953) - focalizzata anche sulla Ferrero - dei senatori Bonazzi e Riva, indirizzata ai ministri del commercio con l'estero, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del tesoro, è scritto:



«Premesso: che il 71 per cento della Barilla G. e R. f.lli s.p.a. è posseduto da soggetti di nazionalità non italiana, e cioè per il 40 per cento dalla Financieringsmatschappy Relou N.V. di Amsterdam, per il 16 per cento dalla Pagra A.G. del Liechtenstein e per il 15 per cento dalla società svizzera Loranige S.A.; che 1'81,5 per cento della P. Ferrero e C.S.P.A. è pure posseduto da soggetti esteri, e cioè il 18,75 per cento dalla olandese Brioporte B.V. ed il 25 per cento, per ciascuna, dalle svizzere Nelgen A.G. e Creitanen A.G.; che diversi organi di stampa hanno dato notizia, non smentita, che le società estere che possiedono la maggioranza delle azioni delle due società farebbero capo a soggetti di nazionalità italiana, si chiede di sapere: se sia vero che le società estere che possiedono la maggioranza delle azioni della Barilla G. e R. f.lli s.p.a. e della Ferrero e C.S.P.A. fanno capo a soggetti di nazionalità italiana; come, in tal caso, è stato possibile realizzare tale situazione; se tutto questo sia compatibile con le vigenti norme valutarie e fiscali».

Scava e scava affiorano le maxi-tangenti di Pietro (padre di Guido Maria, Luca, Paolo, Emanuela), il caso Sme, il piduista Berlusconi Silvio (tessera gelliana numero 1816). E poi ancora il pregiudicato Cesare Previti, un esperto in materia di conflitto di interessi alla stregua del suo stesso padrone. Proprio il soldato Previti, relatore del disegno di legge di riforma che ha smantellato la legge 185 del 1990 (una norma che imponeva un controllo reale sul traffico di armi). Previti Cesare è stato anche il primo vice presidente dell’Alenia e ha continuato a sedere nel consiglio d’amministrazione dell’azienda bellica fino al 1994. In un altro libro, stra-documentato ed intitolato Mani Pulite, la vera storia, scritto dai colleghi Barbacetto, Gomez e Travaglio (Editori Riuniti, 2002), si rileva minuziosamente (pagg. 472-474):

«Allo scandalo Sme il pool arriva da solo, senza l’aiuto di Stefania Ariosto: indagando sui conti del finanziere Franco Ambrosio, e risalendo da questi ai conti di un imprenditore in affari con lui, Pietro Barilla (deceduto nel 1993, ndr) si imbatte nel conto zurighese usato da Barilla per pagare tangenti a Dc e Psi. Da quel conto il 2 maggio e il 26 luglio 1988, partono due bonifici di circa 800 milioni e 1 miliardo per l’avvocato Pacifico. Questi versa poi 200 milioni al giudice Verde, 850 a Previti e 100 a Squillante. Perché convocato dal pool, Guido Barilla, figlio del defunto Pietro, non sa spiegare perché mai suo padre avesse versato tutto quel denaro a due avvocati che non avevano mai lavorato per lui. Sembra una storia gemella dell’Imi-Sir (…) Intanto l’uomo di Arcore invita a cena in un ristorante di Broni due degli inserzionisti pubblicitari più affezionati delle sue tv, Pietro Barilla e Michele Ferrero. E li convince seduta stante a costituirsi in una nuova società, la Iar, che si propone di rilevare la Sme al prezzo di 600 miliardi. La nuova offerta viene ufficializzata dai Barilla e Ferrero nell’ultimo giorno utile, il 25 maggio: il ministro delle Partecipazioni statali Clelio Darida si assenta dalla stanza dove sta per avvenire la firma del contratto Prodi-De Benedetti per ricevere, al telefono, l’improvviso rilancio (…) La Sme resterà all’Iri. Ma Barilla e Ferrero sono contenti ugualmente: il loro scopo era semplicemente quello di impedire a De Benedetti di dare vita a un colosso alimentare che probabilmente li avrebbe schiacciati. Missione compiuta anche per Silvio Berlusconi».

Sempre per masticare la pasta dei Barilla, ovvero “la pubblicità dei buoni sentimenti”, sfogliamo un altro testo dei medesimi autori (brutti e cattivi, sic!), titolato Mani Sporche (Chiare Lettere, 2007); a pagina 63 è attestato senza tema di smentite:

«Il 2 maggio Barilla bonifica 750 milioni a Pacifico, che li preleva in contanti e li porta in Italia. Mentre la Cassazione esce con la sentenza definitiva, Verde comincia a depositare decine e decine di milioni cash sul suo conto italiano. Il 26 luglio, due settimane dopo il verdetto di Cassazione Barilla – capocordata della Iar – riapre il rubinetto svizzero e accredita un’altra provvista, stavolta di 1 miliardo, a Pacifico. Il quale la suddivide fra Previti (850 milioni) e Squillante (100 milioni), stavolta per bonifico bancario, riservando a se stesso appena 50 milioni. Perché mai il socio di Berlusconi nell’affare Sme dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare? (…) L’accusa non ha dubbi: corruzione in atti giudiziari per compravendere la sentenza Sme che consentì a Berlusconi di sconfiggere De Benedetti. Esattamente come avvenne poi nel 1991, con la sentenza Mondadori».

Dunque, soci ed alleati finanziari in realtà produttori e trafficanti di armi ed ordigni di primo livello. Nel 2002 la multinazionale alimentare italiana si è allargata al mercato tedesco acquistando, per un miliardo di euro, la Kamps, produttrice di pane e crackers. L’anno successivo ha comprato per 517 milioni, la Harrys, azienda francese dello stesso comparto. I soldi necessari alla Barilla sono stati elargiti dalla Banca Popolare di Lodi - attraverso cui passano transazioni finanziarie per la compravendita di armi anche a nazioni in guerra o prive di democrazia in barba alla legge 185/1990 s.m.i. (vedi:Relazioni al Parlamento italiano) - che ha costituito una nuova società, la Finba Bakery, e poi in marzo ha girato il 17 per cento della capitale della Finba a vecchie conoscenze della Barilla: tramite la solita finanziaria anonima, la Gafina, la quota è passata nelle mani della famiglia Anda-Bührle, presente nel capitale Barilla con una partecipazione del 15 per cento dal 1979. Ecco la sorpresa. Nel Memorial Journal Officiel du Grand-Duché de Luxembourg (edizione del 4 maggio 2004 – C n° 469) riaffiora una società anonima: Bakery Equity S.A. (capitale sociale: di 337.139.060 euro, suddivisi in 33.713.906 azioni aventi un valore pari a 10 euro cadauna), costituita dinanzi al notaio Paul Frieders il 3 dicembre 2002. In qualità di amministratore spicca il faccendiere Gratian Anda accanto agli italiani Francesco Mazzone e Fabio La Bruna. L’oggetto principale è l’acquisizione e il controllo di interessi in Finbakery, Partner G, Finbakery Netherlands e Gibco. All’interno di questo calderone ribolle un minestrone finanziario: Barilla Holding (Parma), Finba Bakery Holding (Dusseldorf), Finbakery Netherlands (Amsterdam), Banca Popolare di Lodi (Lodi), Finbakery Europe (Dusseldorf), Gafina (Rotterdam), Gibco o più dettagliatamente Lombok Limited (Gibilterra, un paradiso fiscale), Harrys, Kamps, Ramisa (Convention principale d’investissement et d’actionnariat reformulée et amendée, siglata il 4 novembre 2002 da Bpl, Azionariato industriale e Barilla Holdind S.p.a.), Dutch Foundation (Stichting Bakery Finance di Amsterdam), Finba Luxembourg. In Bakery Equity Luxembourg S.A. figura anche una vecchia conoscenza di casa Barilla (attuale consigliere di Barilla G. e R. Figli S.p.A. nonché Lieken AG) Nicolaus Issenmann (nato a Zurigo il 6 maggio 1950). Ovvio, non è tutto. Dopo una girandola di fusioni, apparentamenti, coperture, scatole vuote, capitalizzazioni e trasferimenti di capitali urgono gli approfondimenti al di là delle Alpi. Il 30 aprile 2009 Ticino Finanza affonda il bisturi nella piaga purulenta:

«E buonanotte ai suonatori... Arrivano Spagnoli e Italiani e se ne vanno gli Elvetici. Infatti, se aprono CMB e Santander, esce dal mercato luganese la banca zurighese IHAG. Al 31 dicembre 2008 il profitto operativo lordo di IHAG Privatbank era di 21.6 mio CHF e il profitto netto 14.6 mio. La banca impiega circa 93 dipendenti. Il personale che operava a Lugano è stato assorbito da altri Istituti, tra cui quelli aperti di recente sulla nostra piazza finanziaria. La banca, presieduta da Gratian Anda, nipote di Emil Georg Bührle, ha partecipazioni in Privatbank IHAG Zürich AG, AdNovum Informatik AG, la fabbrica d'aerei militari e civili Pilatus Flugzeugwerke AG, Hotel Castello del Sole, Hotel zum Storchen, Stockerhof Immobilien, Terreni alla Maggia SA, Private Equity Beteiligungen, Tenuta di Trecciano SA. IHAG rimane dunque in Ticino con un albergo, vini, polenta e la produzione del riso che cresce alla latitudine più settentrionale d'Europa, nel delta della Maggia. Gratian Anda siede inoltre nel CdA della Holding Barilla, in Italia che per il 15% fa capo alla sua famiglia, mentre l'azienda d'armi storica di famiglia Oerlikon-Bührle è stata ristrutturata, vendendo alcune attività e nel 2000 cambiando il nome in Unaxis. IHAG Privatbank dichiara di essere composta da banchieri "denen Sie Ihr Vertrauen schenken können" ovvero in cui possiamo credere e che è caratterizzata da uno spirito di famiglia "das Familiäre kennzeichnet unsere Bank". Per famiglia, si intendono forse i signori Bührle e Anda che spendono cifre considerevoli nella sponsorizzazzione di mostre d'arte della Foundation E. G. Bührle Collection nella Zollikerstrasse (Emil Georg Bührle, 1890-1956, è stato il noto produttore di armi nella Oerlikon-Contraves e fondatore della banca IHAG) e di concerti e concorsi musicali come il Concours Géza Anda. Con i tempi che corrono per il Private banking, e visti i risultati concreti di marketing e immagine di una forma obsoleta di comunicazione quale ormai è la sponsorizzazione, forse certe banche dovrebbero smettere di sviolinare e di farsi suonare da improbabili pifferai magici e mettersi a fare banca un po' sul serio... Le banche svizzere si sono buttate a tagliare in maniera decisa i costi a causa dell'attesa contrazione di quest'anno per la crisi economica globale, il che si è tuttavia tradotto solo in chiusure e licenziamenti "diversamente confezionati", ma sarebbe ora che si affrontasse in maniera professionale competente quella che viene chiamata da tutti ‘crisi' che è in realtà un profondo cambiamento strutturale che esige una strategia chiara e illuminata e una politica forte. E quanto a questo, abbiamo visto come è finita con il segreto bancario...».

L’11 maggio 2009 appare sul Corriereconomia la precisazione Barilla:

«Nella tabella pubblicata a corredo dell’articolo del 4 maggio su “Barilla, cambio al vertice e ritorno all’industria”, si attribuisce alla famiglia Anda-Bührle, azionista di gafina BV, anche la proprietà della F. Relou BV. Il dato non è corretto. La catena di controllo dle gruppo è infatti la seguente: Barilla Holding e Gafina detengono, rispettivamente, lo 85% e il 15% del capitale di Finba Iniziative (in futuro chiamata Barilla Iniziative), la quale controlla direttamente o indirettamente il 100% della Barilla G. e R. Fratelli S.p.A. Più in particolare, Barilla Iniziative detiene il 50,62% del capitale della Barilla G. e R. Fratelli e il 100 % della Finanziaria Relou BV, che a sua volta detiene il 49,38% della stessa Barilla G. e R. Fratelli».

Veline? Ecco un comunicato stampa aziendale:

«Barilla, prima azienda italiana al mondo per reputazione. Il Reputation Institute assegna a Barilla il primato per la reputazione tra le aziende italiane e la prima posizione in assoluto nel settore alimentare. Parma, 25 maggio 2010. Secondo una ricerca del Reputation Institute di New York, condotta tra le 600 aziende più importanti al mondo, classificate per fatturato, Barilla si aggiudica la diciannovesima posizione tra quelle con la migliore reputazione, prima tra le italiane e prima in assoluto nel settore alimentare. I risultati della ricerca, pubblicati sul sito della rivista Forbes, sono stati ottenuti attraverso la consultazione diretta dei consumatori in 24 paesi nei diversi continenti».

Nell'ultimo bilancio ufficiale (anno 2009), il presidente Guido Maria Barilla certifica euforicamente:

"Il fatturato consolidato 2009 del Gruppo Barilla che comprende Barilla G. e R. Fratelli e Lieken e opera principalmente in Italia, Stati Uniti, Francia Germania e Nord Europa, si è attestato a 4.171 milioni di euro (...) il risultato netto evidenzia una perdita netta di 101 milioni di euro (...) il Gruppo ha confermato l'ottima solidità finanziaria derivante da una costante generazione di cassa e dal consolidamernto del debito che rimane stabile a 877 milioni di euro (...) In Italia continuiamo a mantenere un comportamento virtuoso".

E nel resto del mondo, invece? «Lo stile – come sosteneva Pietro Barilla – è un modo di comportarsi che “implica tante cose”. Tutto ciò significa soprattutto ispirarsi a principi e valori condivisi che si richiamano al consenso». A pagina 12 del Codice Etico aziendale è specificato:

«uno degli aspetti centrali che qualificano la condotta di Barilla è costituito dal rispetto dei principi di comportamento intesi a garantire l’integrità del capitale sociale».

Appunto, i soldi, ricevuti dalla produzione e vendita di armamenti; utili poi investiti dai soci elvetici in strumenti di morte. Armi: un’offerta di qualità che aiuta a vivere meglio dentro e fuori casa Barilla. Consigli per gli acquisti: infarinare bene le carte e negare l'evidenza. Complimenti e buon appetito.

lunedì 11 ottobre 2010

Barilla: cancellate Italia Terra Nostra



di Gianni Lannes

La Barilla dei noti fratelli delega il professor avvocato Vincenzo Mariconda con studio a Milano per il lavoro sporco. Invece di rimuovere l’amianto fuorilegge (legge 257/1992) che imbottisce lo stabilimento di merendine e biscotti a San Nicola di Melfi in Lucania, tentano illegalmente di far cancellare il sito del giornale online ITALIA TERRA NOSTRA. Invece di denunciare alla magistratura per l’eventuale reato di diffamazione a mezzo stampa, tutto da dimostrare o citarci in giudizio in sede civile per un risarcimento danni, chiedono ad Aruba di oscurarci. Questa è la democrazia di chi è socio degli Anda-Buhrle (dall’anno 1979), noti soggetti trafficanti a livello internazionale di armi e ordigni. Se si tiene ad una voce libera è il momento di agire nel solco della legalità per rivendicare concretamente il diritto alla libertà di espressione. Tra l’altro sul caso sono state presentate diverse interrogazioni ancora senza risposta dal governo Berlusconi. BOICOTTIAMO LA BARILLA. SOS: pubblicate sul web e diffondete le inchieste di ITN sull’amianto alla Barilla di San Nicola di Melfi.

giovedì 16 settembre 2010

Barilla: Italia Terra Nostra non accetta censure



di Gianni Lannes

"Milano, 14 settembre 2010 ... A tutela dei diritti della Barilla, con la presente sono ad intimare di rimuovere immediatamente l'articolo Melfi addio a San Nicola": firmato avvocato Vincenzo Mariconda.

La redazione di ITALIA TERRA NOSTRA respinge al mittente questo diktat, poiché l' inchiesta di Gianni Lannes incriminata preventivamente dal noto studio legale milanese è corroborata da una miriade di prove assolutamente oggettive, oltre alla cinquantina di foto già pubblicate e scattate in loco il 7 settembre 2010 (anche alla presenza di testimoni oculari) e ad un filmato non ancora reso di dominio pubblico. Ragion per cui il tentativo della Barilla o di chi per essa, di voler mettere a tacere una voce libera e indipendente appare del tutto pretestuoso, illegittimo ed intimidatorio nei confronti di chi con palese onestà intellettuale e morale racconta da oltre due decenni in Italia e all'estero le maleffatte commesse quotidianamente dalla casta dei potenti a danno della società civile. Questa testata che non ha padroni né padrini o sponsor esprime concreta solidarietà a Gianni Lannes, oggetto anche di telefonate anonime dello stesso tenore ed invita lettori, cittadine e cittadini, a far sentire adeguatamente la propria legittima protesta. Non è in gioco soltanto la qualità della vita (il cibo che mangiamo) ma anche la libertà di espressione e di diffusione delle notizie, ossia dei fatti (non dei commenti). Si invita ancora una volta la Barilla a dar corso immediato alla bonifica del proprio stabilimento situato a San Nicola di Melfi in provincia di Potenza e a desistere istantaneamente da tali avvertimenti dal sapore "mafioso". La legge italiana 257 ha messo al bando l'amianto (cancerogeno) già nel 1992. Ai fratelli Barilla, infine, chiediamo di rendere nota all'opinione pubblica la compartecipazione attiva (quota azionaria e non solo) alla propria holding alimentare della società Unaxis (Oerlikon-Buhrle) della famiglia elvetica Anda, nota internazionalmente agli addetti lavori per vendita di armi e ordigni bellici (a paesi notoriamente in guerra o dove non vige la democrazia). Si invitano i fratelli Barilla e l'avvocato Mariconda con annessi associati (ferrati in diritto) a ri-leggere quanto segue:


DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO (10 dicembre 1948)

articolo 19:
OGNI INDIVIDUO HA DIRITTO ALLA LIBERTA' DI OPINIONE E DI ESPRESSIONE INCLUSO IL DIRITTO DI NON ESSERE MOLESTATO PER LA PROPRIA OPINIONE E QUELLO DI CERCARE, RICEVERE E DIFFONDERE INFORMAZIONI E IDEE ATTRAVERSO OGNI MEZZO E SENZA RIGUARDO A FRONTIERE.

COSTITUZIONE ITALIANA

articolo 21:
TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE. LA STAMPA NON PUO' ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE.

mercoledì 15 settembre 2010

Barilla: censure, minacce e intimidazioni


di Gianni Lannes

Giornalisti: zitti, muti e a cuccia. Guai a voi se osate raccontare la verità. Gianni Lannes se ti ammazzeranno non fregherà niente a nessuno. Probabilmente ora, dopo questa sequela di inchieste troppo documentate per lo standard italiano, ti revocheranno anche la scorta di Polizia. Sei un testardo: un giornalista giornalista e non un giornalista impiegato. Ma chi te lo fa fare: goditi la vita come tanti tuoi colleghi che si fanno pagare profumatamente per mantenere il silenzio stampa assoluto. Torni in Basilicata dopo due anni - dall'ultima inchiesta pubblicata dal quotidiano La Stampa sull'amianto allo stabilimento Barilla (11/10/2008) - e scopri che questi "im-prenditori" invece di bonificare il micidiale asbesto spendono milioni di euro solo per la pubblicità. Lannes perché ti ostini ad affrontare i potenti e a farli tremare? Prima la telefonata di un poliziotto del commissariato di Melfi che ti prega di soprassedere perché il nuovo direttore dello stabilimento gli ha detto espressamente che ad ottobre smantelleranno l'amianto. L'anno scorso ben 5 parlamentari a tale proposito hanno presentato un'interrogazione sulla base del tuo lavoro. Ora ne hanno depositata un'altra. Eppure il governo Berlusconi non ha risposto ancora alla prima. Adesso uno studio legale di grido ti intima di cancellare la notizia supportata da dati oggettivi e riscontri inoppugnabili, si tratta degli stessi personaggi che in un recente passato avevano chiesto al quotidiano di proprietà Fiat di neutralizzare il tuo lavoro e tenerti in panchina. Insomma: dacci un taglio e prenditi una vacanza sabbatica. Forse quello che tu chiami il "belpaese" sulle orme del tuo maestro Cederna, non ti merita. Messaggio per i rari cronisti che sopravvivono in Italia: non disturbate il potente di turno. Quanto ai consumatori: comprate solo prodotti Barilla. Viva il made Italy con i soldi dei soci svizzeri specializzati in vendita di armi e ordigni bellici, già con i nazisti.

giovedì 9 settembre 2010

Barilla: amianto a perdere



di Gianni Lannes

Mangia sano, torna alla natura e vivi meglio. «Dal 1975 Mulino Bianco è sinonimo di bontà e genuinità. La sua ampia gamma di prodotti da forno è adatta a tutta la famiglia e ad ogni momento della giornata» recita lo slogan del colosso Barilla. Mentre gli spot televisivi e patinati offrono dal ’76, a ritmi martellanti cieli sereni della Toscana e set cinematografici, le coperture del vasto stabilimento Barilla di San Nicola di Melfi in Basilicata, sono a tutt’oggi di plumbeo asbesto. Una svista, forse una dimenticanza per l’holding che fattura milioni di euro e spende fortune per la pubblicità sui giornali e in tv? E’ sufficiente un’accurata panoramica fotografica per accertare la pericolosa presenza che gli enti istituzionali preposti alla tutela della salute pubblica (manager e tecnici pagati lautamente dai cittadini-contribuenti e consumatori) non hanno ancora verificato. Gli ondulati in fibro-cemento, meglio conosciuti come “eternit” dal nome che, nel 1900, il suo inventore, l’austriaco Ludwig Hatscek, diede a questo micidiale impasto chimico di fibre di amianto (crisotilo) e cemento a lenta presa, fanno bella mostra dal 1987 dove meno te l’aspetti. Appunto, nei 9,58 ettari del lotto 16 di proprietà del celebre marchio alimentare. Addirittura sulla testa di questo impianto industriale in provincia di Potenza che vanta 7 linee produttive (fette biscottate, biscotti da colazione, pasticceria, snack, pani morbidi, sfoglie, merende) per 65 mila tonnellate annue di prodotto alimentare. C’è rischio sanitario per la salute dei 500 lavoratori (di cui circa 100 stagionali) e degli ignari milioni di consumatori? «La sicurezza dei prodotti e delle persone che lavorano sono i presupposti di qualsiasi nostro stabilimento» asserisce da Parma, Elisabetta Iurcev, Media Relations Manager della Barilla. In casi del genere, tuttavia, le rassicurazioni telefoniche non bastano. E i riscontri visivi identificano l’attuale realtà: l’amianto è presente in notevoli quantità (diverse tonnellate) sotto forma di lastre, ma l’Asl Venosa 1 non si è ancora scomodata per accertare approfonditamente il livello di inquinamento delle fibre aerodisperse nell’area. Dal canto suo la regione Basilicata non ha mai effettuato in questa zona industriale una mappatura del territorio con presenza di amianto e un monitoraggio epidemiologico del fenomeno. Eppure è un obbligo di legge sancito ben 18 anni fa. In loco dal 1987 vengono prodotte le merendine più famose d’Italia ma i tetti della fabbrica sono fatti di pericoloso amianto, una sostanza cancerogena messa al bando nel Belpaese dalla legge 257 del 27 marzo 1992. La ponderosa letteratura scientifica - a partire dal 1932 - parla chiaro, basta esaminarla. Addirittura un regio decreto del 1909 fa presente di prestare attenzione alla “lana di salamandra”. La caratteristica filamentosa dell’asbesto è anche la causa della sua pericolosità; il problema è che, a lungo andare, questo minerale si sfibra dando origine a piccolissime scaglie invisibili all’occhio umano. I frammenti polverulenti ed estremamente volatili, possono, una volta respirati, provocare forme tumorali alle vie respiratorie anche a distanza di decenni. Per i proprietari è un impianto all’avanguardia: «A Melfi (PZ), gioiello industriale e tecnologico del Sud Italia, dove produciamo anche biscotti e pani morbidi, è installata invece la linea di produzione di fette biscottate più grande d'Europa» si legge nel sito online del gigante agroalimentare. Proviamo ad entrare per visionare anche le coibentazioni interne, ma il portiere, in un pomeriggio assolato, scaccia scortesemente il cronista all’ingresso: «Questa è proprietà privata se ne vada». E il direttore non risponde al telefono. Con tanti saluti ai principi aziendali: «coerenza, trasparenza e rispetto debbono guidare ogni decisione e comportamento». Chiediamo nuovamente lumi all’addetto stampa del gruppo internazionale in cui lavorano oltre 7300 addetti. «Lo stabilimento di San Nicola di Melfi è per noi molto importante: ci sono dei prodotti che facciamo solo lì; ad esempio le nastrine - rivela l’esperta Iurcev - E’ importante perché poi magari uno pensa che le facciamo solo al nord e le vendiamo al nord. Invece le facciamo al sud e le vendiamo in tutt’Italia». Per la materia prima quali sono le fonti di approvvigionamento? «Il grano tenero è praticamente tutto italiano; lo acquistiamo prevalentemente in Puglia e Basilicata» rivela la manager aziendale Elisabetta Iurcev. «La Barilla compra le materie prime anche in Basilicata - puntualizza Gerardo Nardiello, segretario regionale della Uila-Uil (Unione italiana lavoratori agroalimentari) - Si riforniscono proprio nella zona industriale di Melfi». La Barilla si difende certificando gli stabilimenti produttivi «rispetto allo standard ISO 14001 allo scopo di ridurre gli impatti delle proprie attività produttive sull’ambiente promuovendone il continuo miglioramento». Non è tutto. A poche centinaia di metri in linea d’aria, si staglia il più grande inceneritore di rifiuti. E’ entrato a regime un decennio fa grazie alla Fiat che nel 2002 l’ha ceduto ai francesi dell’Edf (gestori di centrali nucleari). L’impianto Fenice vomita nell’atmosfera e nel sottosuolo veleni micidiali. Già, ma la Barilla fa finta di niente. La multinazionale italiana ha chiesto alla direzione del giornale La Stampa di sospendere la mia collaborazione. Motivazione? A quanto emerge dai documenti ufficiali, lesa maestà. Scrivo a Mario Calabresi che ha partecipato in prima persona ad un evento organizzato dalla Barilla. Mi risponde tempestivamente rievocando i nostri trascorsi al quotidiano La Repubblica, comunque negando qualsiasi pressione da Parma. Dalla direzione amministrativa del quotidiano Fiat, l’addetto amministrativo Alessandro Bianco, sostiene addirittura che l’amianto non c’è. Tra grandi aziende si scambiano i favori, pur di mettere a tacere una voce libera. Torno dopo due anni dall’inchiesta condotta e pubblicata dal quotidiano La Stampa (11 ottobre 2008). L’amianto è sempre più friabile e danza senza controllo. Da un cavalcavia stradale fotografo la fabbrica mentre sopraggiunge una prima pattuglia di carabinieri a chiedere chiarimenti. Poco dopo piomba un'autovettura della polizia con due agenti in borghese del commissariato di Melfi. Forse non hanno letto il fonogramma che annuncia il mio arrivo con tanto di scorta dei colleghi. Pretendono di sapere perché immortalo il complesso industriale. Nel frattempo transitano sotto gli occhi dei “tutori della legge”, camion carichi di rifiuti pericolosi. Anche la Barilla ne produce: due anni fa li ho scovati in Calabria. Alle 20,21 di martedi 7 settembre squilla il mio cellulare di lavoro. Non rispondo. Alle 20,28 il portatile trilla ancora. Dall’altro capo del telefono si presenta il poliziotto della mattina. Si chiama Antonio Pennella. In sostanza mi chiede di chiudere un occhio sull’amianto fuorilegge della Barilla; insomma di soprassedere almeno fino ad ottobre inoltrato. Mi rivela che il direttore dello stabilimento gli ha mostrato delle carte. Una ditta di Torino smantellerà l’amianto che uccide entro l’anno al costo di 1 milione di euro. Fingo di abboccare: è un vecchio trucco che pratico con successo da un ventennio. Il 9 settembre in mattinata chiamo il poliziotto Pennella e gli chiedo di farmi inviare le carte dal direttore dello stabilimento. Mi risponde che non può pretenderle dall’amico direttore. Devo fidarmi della sua parola. Ad ogni modo mi chiede ancora di ritardare la pubblicazione di questa inchiesta, in cambio mi darà delle dritte sulla zona. Nauseato chiudo la conversazione e mentalmente spedisco questo sbirro di quart’ordine a quel paese. Sono come san Tommaso: amen.

(p.s. A seguito dell'inchiesta di Gianni Lannes inerente la presenza di amianto nello stabilimento Barilla di San Nicola di Melfi - pubblicata dal quotidiano La Stampa l'11/10/2008 - ben 5 parlamentari del Gruppo Democratico, ossia Turco, Beltrandi, Berardini, Mecacci, Zamparutti hanno indirizzato il 14/09/2009 ai ministri del Lavoro della Salute e delle Politiche sociali l'interrogazione numero 4/04073. L'iter è ancora in corso: il governo Berlusconi non risponde. Date un'occhiata al portfolio fotografico in fondo al testo. Al bando il boicottaggio: comprate solo prodotti Barilla).

Il gigante Barilla in società con la famiglia Anda (trafficanti di armi)

G.L.

Oltre 7.300 dipendenti: poco più di 5 mila in Italia. Volumi di vendita: 1,48 milioni di tonnellate. Posizione finanziaria netta: 113, 5 milioni di euro. L’assetto produttivo di Barilla si basa su 27 poli produttivi, tra pastifici, stabilimenti per i prodotti da forno e mulini. Dai 6 mulini di proprietà per la semola Barilla esce circa il 70% della materia prima. Accanto ai 3 mulini italiani, sono attivi i mulini di Volos in Grecia, quello di Bolu in Turchia e, accanto al pastificio di Ames negli Stati Uniti, è stato costruito un mulino integrato con il ciclo di produzione dello stabilimento. Nei 7 pastifici si producono circa 900.000 tonnellate di pasta l’anno, differenziate in 150 formati di pasta di semola e oltre 30 di pasta all’uovo. Accanto ai siti produttivi italiani, l’azienda possiede impianti in Grecia, Turchia e Nord America. Dal 2002 Barilla produce anche Primi Piatti Pronti surgelati nello stabilimento di Latina. Nel mercato dei prodotti da forno, Barilla è il terzo produttore europeo e leader italiano, grazie a un’offerta che comprende svariate categorie di prodotti. Per gestire quest’area di business, Barilla conta oggi su 10 centri produttivi. Tra questi, in Italia, si segnalano lo stabilimento di Castiglione delle Stiviere (Mantova) e quelli di Cremona e di San Nicola di Melfi (Potenza). Dalle 11 linee di Castiglione delle Stiviere esce il 75% della produzione di cracker e biscotti a marchio Mulino Bianco. A Novara sorge lo stabilimento Pavesi, il più grande del Gruppo per numero di addetti e per complessità delle tecnologie gestite. L’impianto di Ascoli Piceno, con 5 linee produttive, è il sito dove vengono prodotti ogni giorno i saccottini, le crostatine e i plum-cake. Ai sette poli produttivi italiani si sono aggiunti nel 1999 i tre stabilimenti Wasa in Germania, Svezia e Norvegia, destinati alla produzione di pani croccanti. Barilla è il più grande utilizzatore mondiale di grano duro per la produzione di pasta: circa 1.250.000 tonnellate all’anno. Sono 350.000, invece, le tonnellate di grano tenero che trasforma ogni anno. I cereali rappresentano il cuore della produzione. Oltre al grano, anche la segale, della quale acquista oltre 50.000 tonnellate. Altra materia prima sono le uova: annualmente circa 500 milioni.

Amianto, killer invisibile

Vive nascosto sottoterra, nelle cantine, nelle tubature, nei pavimenti di edifici pubblici. L’Italia lo ha bandito nel ’92, ma ufficialmente ne restano in giro 32 milioni di tonnellate. E di contaminazione si continua a morire. L’amianto è costituito da fibre piccolissime e leggere, che si depositano su bronchi e polmoni producendo effetti devastanti a distanza di decenni. Il mesotelioma, tumore che colpisce il rivestimento dei polmoni (pleura) e degli organi addominali (peritoneo), può colpire dopo quarant’anni, e uccidere in nove mesi. E non è l’unica conseguenza mortale. C’è anche l’asbestosi (formazione di cicatrici fibrose sul tessuto dei polmoni, che riducono fortemente le capacità respiratorie) e il carcinoma polmonare. Un nemico invisibile ci assedia. E’ l’amianto. Nome tecnico asbesto, dal greco “incorruttibile”, inestinguibile, indistruttibile”. Isolante, ignifugo, fonoassorbente ed economico. Così è stato usato a più non posso. Dalle coperture dei tetti in eternit (cemento misto a fibre di amianto) alle piastre isolanti per ferri da stiro, dai guanti da forno agli schermi cinematografici, dai filtri per pipe e sigarette (noto il caso delle kent mentolate) alle carrozze ferroviarie. E poi: phon, freni per le auto, persino assorbenti igienici interni. Anche la plastica di alcuni giocattoli veniva rafforzata con questo materiale. E ancora: teatri, cinema, scuole coibentate con amianto spruzzato. Ufficialmente in 94 capoluoghi di provincia, il 12 per cento degli edifici scolastici ne contiene ancora ai giorni nostri. Si può trovare nell’impasto dell’intonaco, nei pavimenti di linoleum, nelle canne fumarie, nei pannelli acustici, nelle tubature idriche. Non c’è una mappa nazionale delle tubature colpevoli, ma dati locali. A Bologna ci sono ancora 1.600 chilometri di condutture in cemento amianto, tra Cesena e Forlì 2.300; in provincia di Foggia addirittura 5 mila, a Venezia 930 e a Padova 600. Negli anni ’80 l’Italia, con le sue centomila e qualcosa tonnellate l’anno, era il secondo produttore di asbesto in Europa dopo l’Urss. Dalle Alpi alla Sicilia, il territorio ne è disseminato. L’Agenzia per la protezione dell’Ambiente identifica i siti: l’ex cava di Balangero (TO) la miniera più grande d’Europa; Casale Monferrato (AL), con più di 600 morti per aver respirato amianto; la Fibronit di Bari, quasi 150 mila quadrati inquinati nel centro della città e un numero imprecisato di morti e ammalati ma non ancora bonificata; Biancavilla (CT) comune tenuto sott’osservazione dall’Istituto Superiore di Sanità perché interamente costruito, strade comprese, con una fibra della famiglia dell’amianto. E poi ci sono le innumerevoli aree dimesse, più o meno riconvertite. L’elenco si moltiplica leggendo le rassegne sindacali, i resoconti di vedove e superstiti, i bollettini dell’Associazione Esposti Amianto, i documenti delle cause giudiziarie. L’amianto è ovunque, e fa male. Agli esseri umani e all’ambiente. C’è il dramma umano: 5 mila morti all’anno in Europa, destinati quasi a raddoppiare ogni 12 mesi. Le persone in attesa di risarcimento (le richieste di riconoscimento, quasi tutte di prepensionamento, per esposizione all’amianto presentate all’Inail sono quasi 300.000). E chi attende giustizia, come i 1.650 firmatari della maxivertenza amianto di Casale e Siracusa contro la famiglia Schmidheiny, proprietaria della multinazionale Eternit. O come le vedove degli operai morti per mesotelioma a Monfalcone, a Pistoia, al Poligrafico dello Stato di Foggia. Le richieste si moltiplicano. Finora gli esiti sono contrastanti. E c’è il problema ambientale, con il dilemma di come smaltire quei 32 milioni di tonnellate che ancora avvelenano l’Italia. “Miliardi di metri quadrati di eternit esposti alle intemperie si stanno sfarinando, con rilascio di fibre nell’ambiente” denuncia Bruno Pesce, coordinatore del comitato vertenza amianto di Casale. E sono le fibre respirate a causare, a distanza di decenni, il tumore. E poi c’è il problema globale. C’è ancora chi produce ed esporta, come Russia e Canada ma anche l'Italia fino al 2006. Sappiamo molto ormai ma in ritardo. Era il 1992 quando l’Italia, con la legge 257, vietò estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione di amianto e prodotti che lo contengono. Che l’amianto fosse pericoloso si sapeva almeno dal 1965, anno di pubblicazione degli atti della conferenza della New York Academy of Sciences sui suoi effetti biologici. Ed è dal 1976 che l’Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione attesta che “tutti i tipi di amianto sono cancerogeni, e qualunque livello di esposizione nocivo”. Affermazione che neanche oggi viene presa per buona: ai fini pensionistici, l’amianto è pericoloso solo se un centimetro cubico d’aria contiene 0,1 fibre (100 fibre/litro). E se è stato respirato otto ore al giorno per dieci anni. In Italia esiste un documento trovato negli uffici della miniera di Balangero e conservato negli Archivi di Stato di Torino, che prova un accordo per rallentare i tempi legislativi. E’ il resoconto di una riunione informale tenuta il 17 novembre 1977-78 (questa la data ipotizzata dalla ricostruzione) all’Assocemento di Roma. Secondo gli appunti, Angellotti, allora direttore dell’amiantifera di Balangero, “esprime la preoccupazione dei soci Ania (Associazione nazionale imprese assicuratrici) per l’iter della proposta di legge sull’amianto. Il ministro del lavoro ha chiesto all’Enpi (Ente nazionale prevenzione infortuni) di parlare dei limiti delle polveri. Il dottor Annibaldi della Confindustria è intervenuto sull’Enpi per rallentare l’emissione di normative sui limiti”. L’Enpi avrebbe accettato e “il ministro della sanità Anselmi ha confermato tale fatto”. Confindustria, ministero della Sanità e del Lavoro ed ente per la prevenzione degli infortuni coalizzati sulla pelle dei lavoratori. I fatti: le prime limitazioni per l’uso della crocidolite (il tipo di amianto più pericoloso) sono dell’86 (8 anni dopo l’incontro in questione); l’Europa aveva chiesto agli Stati membri di proibire l’amianto nell’83, mentre la legge italiana è del ’92. Tanto che la Corte di giustizia europea ci ha condannati per non aver recepito la normativa entro i tempi canonici. Poi finalmente la legge è arrivata, e con lei i buoni propositi. Come quello di mappare tutto il territorio è di istituire un registro italiano per il mesotelioma, il cancro dell’amianto. La mappatura è un sogno senza soldi. Solo quattro milioni e mezzo di euro sono stati stanziati dal ministero dell’Ambiente. Altrettanti verranno dati a chi ha già presentato le priorità di bonifica: attività frammentaria e delegata alle Regioni, che in qualche caso si sono mobilitate e in tanti altri no. Il modello è l’Emilia Romagna, che ha già censito edifici pubblici e privati e aziende che hanno usato amianto. Il risultato? Quasi duemila edifici positivi, su oltre 33 mila. C’è amianto nelle caldaie, nelle cantine, nei pavimenti, nei depositi, nei sottotetti. E in un terzo delle aziende. E’ ancora inadempiente il Lazio e non c’è mappatura né registro per i mesoteliomi. Sopravviviamo nell’emergenza. In Ciociaria, oltre a essere aumentati i morti per mesotelioma ci sono ancora casi di asbestosi”. E’ andata meglio all’idea del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, nato presso l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro; oggi è presente in 16 regioni, e raccoglie i dati sulla diffusione del tumore in Italia. “I casi sono un migliaio l’anno” sintetizza Fulvio Aurora, segretario nazionale dell’Aea. “Secondo le stime, però, ci sono altri tremila morti l’anno per malattie legate all’amianto; 209 mila i potenziali esposti alla fibra”. Il dramma non si ferma ai lavoratori. Parecchie mogli sono morte di mesotelioma per aver lavorato le tute impolverate dei mariti. “In Veneto”, segnala l’epidemiologo Enzo Merler, “il 23 per cento dei casi di mesotelioma femminili è causato da esposizioni domestiche o ambientali” E a Casale su 600 morti, 200 non hanno mai lavorato l’eternit. Una volta effettuata la mappatura, bisogna decidere se e come bonificare. Non sempre, infatti, la bonifica è la soluzione migliore, perché produce rifiuti e rilascia fibre nell’atmosfera. Se l’amianto non è friabile, è controproducente rimuoverlo, avvertono gli esperti. Una volta decisa la bonifica, come farla è un rebus: incapsulamento, confinamento, torce al plasma. I siti di stoccaggio sono pochi, il trasporto e lo smaltimento hanno costi elevati. A volte, chi deve bonificare la casa o il cortile sotterra l’amianto dove può o lo lascia nelle discariche abusive. Vanno allora favoriti gli incentivi fiscali (oggi sono del 36 per cento) e realizzati servizi porta a porta di trasporto e smaltimento gratis. Ma quando? E che dire della mappatura delle navi incompleta? Su quante c’è ancora amianto? E perché il materiale continua a passare dai porti italiani? L’uso del crisotilo (amianto bianco), invece, è ancora tollerato in molti paesi del vecchio continente. Al momento soltanto 14 prodotti contenenti questa fibra sono stati messi fuorilegge dall’Ue e solo 9 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda, Svezia) hanno imposto un bando unilaterale su tutti i tipi di amianto. Il crisotilo, appunto, mette in gioco enormi interessi economici perché rappresenta il 95 per cento della produzione mondiale. Il 15 settembre 1998 il Comitato scientifico dell’Ue ha reso pubblico il risultato di un esame specifico che ribadisce: «esistono prove scientifiche sufficienti per affermare che tutte le forme di amianto, crisotilo compreso, sono cancerogene per l’essere umano». Nonostante le evidenze, le proteste politiche e le minacce economiche di chi si oppone al bando (peraltro molto energiche anche nel Belpaese) non scemano. L’azione di lobbyng è giocata soprattutto dal Canada e dalla Russia. «Tentano ancora una volta di fare la distinzione fra tipi di amianto - puntualizza Fulvio Aurora di Medicina Democratica -. Distinguono l’amianto cattivo (crocidolite e anfiboli in generale) da quello buono (crisotilo), cercando di far passare l’idea che questo può essere utilizzato in modo sicuro». Le pressioni a suon di dollari dei potentati in campo rappresentano una minaccia per l’obiettività delle organizzazioni scientifiche internazionali. Infatti, avverte lo studioso Barry Castleman «sono stati compiuti ingenti sforzi da parte dell’industria dell’amianto per fare in modo che documenti favorevoli ai propri interessi fossero pubblicati come rapporti ufficiali dall’International Program on Chemical Safety, dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’International Labour Office».

Interrogazione parlamentare sul caso Barilla